venerdì 6 maggio 2016

Un'opera leopardiana poco conosciuta: la "Paralipomeni della batracomiomachia"

Cari lettori, oggi per la rubrica culturale del venerdì mi piacerebbe presentarvi un'opera poco conosciuta di uno dei più grandi poeti della nostra letteratura: Giacomo Leopardi. Questo poeta, infatti, non scrisse solo i piccoli e i grandi idilli, lo zibaldone dei pensieri, le operette morali e la Ginestra, come di solito ci fanno studiare a scuola, ma si cimentò anche con un poemetto satirico eroicomico in ottave: la "Paralipomeni della batracomiomachia", un titolo che sembra uno scioglilingua e che letteralmente significa "continuazione della guerra tra le rane e i topi". Fu una delle sue ultime opere, infatti fu composta tra il 1833 e il 1837 (anno della sua morte) e pubblicata postuma nel 1842.

Leopardi scrisse questo poemetto (strutturato in 8 canti) intendendolo come una continuazione di un'opera attribuita a Omero (la "Batrocomiomachia"), che il poeta di Recenati aveva avuto modo di tradurre e di studiare intensamente. Omero in essa aveva trattato della guerra tra i topi e le rane e Leopardi riprende questa tematica rielaborandola e concependola in senso allegorico.

Nell'opera infatti i topi rappresentano i patrioti italiani risorgimentali e liberali che, all'inizio del poema, vengono sconfitti sia dalle rane, che rappresentano le truppe pontificie, sia dai granchi, che sono l'emblema delle truppe austriche. Probabilmente Leopardi intendeva in questo modo far riferimento in chiave satirica al fallimento dei moti risorgimentali degli anni 20 e 30 dell'Ottocento. 

In uno degli ultimi canti del poema, un intellettuale facente parte della schiera dei topi, Leccafondi, compirà un viaggio giungendo fino nell'oltretomba dei topi, con lo scopo di interrogarli per avere delle profezie sul futuro: ma la sua visita non otterrà l'effetto sperato, perchè l'oltretomba non è altro che il nulla e le anime lì presenti sono capaci solo che di ridere di fronte alle sue assurde richieste. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad uno dei più importanti fili conduttori delle opere leopardiane e cioè la fragilità umana, oltre che la morte intesa solo come dissoluzione della materia. A Leccafondi non resterà altro da fare che tornare sulla Terra e chiedere l'aiuto del generale Assaggiatore, ma poi il poema si interrompe bruscamente, perchè Leopardi dichiara che l'antico manoscritto da cui aveva preso spunto per scrivere la storia è terminato. 

Nel corso dei miei studi non ho avuto modo di leggere o di approfondire quest'opera, ma credo che sia riduttivo non considerarla, anche marginalmente, quando si affronta lo studio della produzione leopardiana, in quanto emblematica nel rappresentare il rapporto tra il poeta stesso con la storia a lui contemporanea. Rapporto che è stato espresso, a mio parere, in un modo molto originale e alternativo.

6 commenti:

  1. Grazie Ariel x questo contributo sconosciuto su Leopardi!!

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    1. Grazie a te, Maria Lucia, per aver letto e commentato il mio post :-)

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  2. di quest'opera ricordo solo il titolo, quando studiai l'autore alle superiori, ma non ricordavo assolutamente di che parlasse, quindi grazie Ariel :)

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    1. Grazie a te, Angela: sono tanti gli aspetti letterari poco conosciuti, ma non per questo meno importanti...

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  3. In effetti non la conoscevo nemmeno io quest'opera! :P Grazie per avermela resa nota ;)

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