Cari lettori, non so da quali parti d'Italia mi stiate leggendo: io abito in provincia di Milano e dalle mie parti il 17 gennaio è il giorno in cui viene tradizionalmente acceso il cosiddetto "falò di S. Antonio", per celebrare la ricorrenza di questo Santo nel calendario.
Così, oggi ho deciso di scrivere questo post raccontando un po' la sua storia e parte della tradizione a esso correlata.
Dovete sapere che S. Antonio Abate era originario dell'Egitto e che, comunemente, viene chiamato "S. Antonio del purscell" per distinguerlo da S. Antonio da Padova. Egli trascorse la maggior parte della sua lunga vita (morì a 105 anni!) in eremitaggio.Oggi le sue reliquie sono conservate ad Arles, in Francia.
Secondo alcune leggende fu celebre per delle guarigioni miracolose, sia sulle persone sia sugli animali, tanto che viene considerato il protettore del bestiame e, nell'iconografia, uno dei suoi attributi è proprio il celebre "porcellino", a volte associato anche ad altri animali.
Altro simbolo del Santo è il fuoco, dato che, secondo un'altra leggenda, S. Antonio donò il fuoco agli uomini rubandolo direttamente dall'inferno, come una sorta di Prometeo cristiano. Per questo, oggi, la tradizione del falò ha la funzione di ringraziamento per il dono fatto, ma è anche un simbolo di buon auspicio verso il futuro, concezione, questa, che si rifà addirittura ad antiche feste di tradizione celtica.
Ho voluto sottolineare tutto questo per comprendere la vasta complessità delle origini delle nostre tradizioni che, come potete constatare,sono il risultato dell'intrecciarsi di diverse culture.
Mi auguro che quello che vi ho raccontato vi abbia interessato, se avete voglia di raccontare qualche curiosità o tradizione particolare della vostra zona o regione fatelo pure nella zona dei commenti, sarà molto gradito. Se poi gradite leggere qualche approfondimento sull'argomento, vi segnalo questi due libri, tra i numerosi scritti presenti in commercio: il primo è incentrato soprattutto sulla biografia del Santo, mentre il secondo anche sui suoi culti.
La Vita di Antonio si presenta come una
lettera che Atanasio invia ai monaci d'Occidente perché imitino e
diffondano l'ideale monastico così come fu vissuto da Antonio.
All'interno del racconto di Atanasio si possono individuare quattro
fasi, quattro "fughe" che spinsero Antonio a cercare una solitudine
sempre maggiore(da ibs).
Laura Fenelli ricostruisce la figura di sant'Antonio Abate e il culto a
lui tributato nel bacino mediterraneo. Una vicenda complessa e
appassionante come un romanzo, cominciata nel lontano IV secolo dopo
Cristo, e che ha visto - nel susseguirsi di leggende, culti,
superstizioni e rappresentazioni -la trasformazione dell'asceta da santo
taumaturgo a santo contadino e burlone. Per comprendere questi passaggi
basta prendere in esame tre immagini di epoche diverse che ritraggono
Antonio. In un dipinto su tavola del 1353, Antonio è vestito di un abito
scuro e di un mantello bruno, è in piedi in un paesaggio roccioso dove
germogliano sparuti due alberelli, si appoggia a un nodoso bastone da
eremita, reggendo con l'altra mano un volume rilegato. Ai suoi piedi
trotterellano due maialetti neri. Accanto al santo si affollano donne e
uomini, rigidamente divisi in base al sesso. Inginocchiati, stanno
chiedendo la grazia, la salute, la salvezza per se stessi o per i loro
cari. Due secoli dopo, in un foglio a stampa cinquecentesco variamente
riprodotto e di grande diffusione, lo schema iconografico è assai
simile, nonostante le differenze di tecnica esecutiva, stile, materiale,
contesto. Dettaglio nuovo è quello del fuoco che fiammeggia ai piedi
del santo e sembra sgorgare dal trono stesso. Infine, in uno dei tanti e
popolarissimi santini dedicati all'eremita alla fine del XIX secolo
sono cambiate le figure che lo attorniano: non più devoti inginocchiati
che chiedono la grazia, non più malati e infermi, ma animali (da amazon).
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