Cari lettori, oggi ho deciso di pubblicare sul blog la mia breve storia per bambini, che ho scritto l'anno scorso. S'intitola "La lanterna dell'amicizia" e pubblicherò un capitolo ogni lunedì. Oggi vi presento il primo, dal titolo "Una lunga estate noiosa": la protagonista è Amina, una bambina libica di nove anni che, in Italia da poco tempo, pensa che le vacanze estive saranno per lei solo un lungo momento di noia...
Per Amina l’ultimo
giorno di scuola non era stato un momento di gioia come per i suoi compagni di
classe.
Nell’aria si respirava
un clima di eccitazione: le maestre avevano deciso di far trascorrere le ultime
ore del pomeriggio coinvolgendo i loro alunni in giochi a squadre, nella
palestra situata al piano terra del grande istituto, ma la maggior parte dei suoi
compagni badava poco alle attività, preferendo parlare con entusiasmo dei loro progetti
delle vacanze.
C’era chi sarebbe
andato al mare, chi in montagna, chi in campeggio con l’oratorio…
Amina invece se ne
stava a osservare la scena in disparte, sentendosi sullo sfondo a quel clima
festoso, che in lei provocava un po’ di malinconia. Un po’ perché si trovava in
Italia da poco più di un anno e ancora faceva fatica a comprendere le parole
dei suoi compagni, che chiacchieravano sempre troppo in fretta, e un po’ perché
non aveva nessuno con cui condividere degli impegni per i mesi a venire. I suoi
compagni erano gentili, ma li conosceva da troppo poco tempo per poterli
considerare amici e, anche se non le sarebbe dispiaciuto poterli frequentare al
di fuori delle ore scolastiche, nessuno l’aveva mai invitata a casa loro,
nemmeno per studiare o per fare merenda insieme. E poi, ammesso anche che la
coinvolgessero nei loro discorsi, che cosa avrebbe potuto raccontare, se non
che avrebbe dovuto trascorrere lunghe e noiose giornate estive in compagnia di
una babysitter ventenne che passava la maggior parte del suo tempo attaccata al
telefonino o a pitturarsi le unghie?
Amina aveva cercato di
spiegare ai suoi genitori che, a nove anni, era ormai troppo grande per aver
bisogno di una ragazza che la controllasse tutto il giorno, e che poteva
benissimo cavarsela da sola, ma loro non avevano voluto sentire ragioni e per
questo avevano già domandato a Martina, la ragazza che si occupava di lei nei
finesettimana, la sua disponibilità a curarla anche nei mesi estivi, e la
ragazza non si era fatta sfuggire l’opportunità.
Era proprio in quei
momenti che Amina rimpiangeva la sua vita passata, trascorsa in un paesino
della Libia, una vita nella quale non aveva bisogno di persone che
l’accudissero; una vita diversa, in cui era piena di amici e di persone che le
volevano bene, come l’anziana nonna, che le raccontava storie e leggende dei
suoi antenati; o la cugina Aisha, che era anche la sua migliore amica; oppure
la maestra, che le diceva spesso che era una bambina sveglia e intelligente.
Qui nessuno glielo aveva mai detto, anzi, era stato molto difficile riuscire a
restare alla pari con gli studi, e per la maggior parte dell’anno era stata
affiancata da un’insegnante, che si dedicava totalmente a lei e l’aiutava a
leggere, scrivere correttamente e a imparare l’italiano. Se nel suo paese si
considerava una delle alunne più brave, qui era già tanto se sarebbe stata
promossa con una misera sufficienza in tutte le materie.
L’unica volta che
aveva osato confidare la nostalgia per il suo paese ai genitori, la madre le
aveva spiegato, senza riuscire a trattenere qualche lacrima, che venire in
Italia era stato necessario: nella loro patria c’erano persone cattive che
avrebbero potuto fare loro del male, e perciò era diventato molto pericoloso
rimanere lì. Le disse anche che erano stati molto fortunati, perché durante la
traversata del mare erano riusciti a sopravvivere e che ora, grazie all’aiuto
dello zio, che abitava in quella città già da qualche anno, avevano trovato un
buon lavoro, lei come badante e suo padre come aiuto cuoco in una trattoria.
Amina aveva annuito
mentre, con la mente, aveva rievocato quei terribili giorni, nei quali aveva
dovuto abbandonare la sua casa, i suoi giochi, i suoi affetti e, assieme alla
madre e al padre, era salita su un gommone per poi affidarsi alle onde del
mare. Per fortuna il tempo era sereno, ma ricordava ancora quel senso di nausea
dato dal continuo movimento delle onde e quel silenzio carico di paura mista a
speranza. Così come di quelle acque così scure, profonde e minacciose. Per non
parlare di quegli uomini sconosciuti che, a tratti, le cadevano addosso
rischiando di soffocarla. E del sollievo che si era propagato tra loro una
volta avvistato uno sfuocato lembo di terraferma, in un orizzonte ancora
lontano per poter essere considerati totalmente al sicuro.
La madre in fondo
aveva ragione, erano stati fortunati, come non poteva di certo lamentarsi del
grande aiuto che aveva fornito loro lo zio, il fratello di sua mamma, che aveva
pagato di tasca sua i primi mesi dell’affitto nella nuova casa e cercato un
lavoro per entrambi. Certo, da quando i suoi genitori lavoravano, Amina quasi
non li vedeva più, se non qualche ora alla sera. Quando stavano in Libia il
padre lavorava molto di meno, e la madre rimaneva sempre a casa a occuparsi
delle faccende domestiche, mentre ora capitavano dei giorni nei quali a
malapena si scambiavano qualche parola. A sentir loro, però, ora si trovavano
in un posto sicuro e tranquillo, ed era la cosa più importante.
Da quel giorno in poi
non aveva più osato lamentarsi, sia per non far soffrire la madre, sia perché
non voleva sembrare una bambina viziata e capricciosa, anche se, in
quell’ultimo giorno di scuola, alla nostalgia della sua vecchia vita si
aggiunse la triste consapevolezza della lunga estate noiosa che sarebbe stata
costretta ad affrontare.